Il mare e la Liguria nei versi di Orsola Nemi, di Francesca Rotta Gentile, Università di Genova

L’OPERA IN VERSI

Le poesie edite

Domodossola, 13 marzo 1943

Cara Signorina Nemi,

a Recco? A Pietrasanta? A Roma? Quest’incertezza geografica, del dove scriverle, ha inciso sull’atto stesso di scriverle. Mi decido per Bompiani, sperando che faccia prodigioni. Se è a Roma, mi saluti Longanesi. Se è a Pietrasanta, mi saluti Pietrasanta e Capriglia.

Io ero talmente d’accordo su una zona della Sua poesia (come le avrà forse detto anche Montale) che, prima ancora di ricevere Cronaca (un libro gradevole anche fisicamente, a prenderlo in mano) dei suoi campioni usciti in “Letteratura” avevo potuto estrarre di che renderla presente in un’antologia, non indulgente, della poesia contemporanea. Quest’antologia doveva uscire presso “la Cometa”, coniata da Longanesi, ma non s’è potuta fare; l’ho mandata a Vittoriani, dietro sua richiesta, e non ho ancora risposta. Le poesie pubblicate […] in bel imbarazzo, Lei dico, perché gli autori sono disposti in ordine cronologico, e Lei, che è la sola donna, vi ha luogo incerto. Sarei costretto a mandarle la lista degli autori, pregandola di dirmi, dove dovrei inserirla; e scusandomi anche così, dell’indiscrezione. Ma temo che non ce ne sarà bisogno.

Mi creda, con amicizia Suo

Gianfranco Contini

Domo, 2

Cara signorina Nemi,

che debbo dirle? Ringrazi Longanesi, e gli dica che il mio solo desiderio sarebbe di avere un giorno qualche cosa da far stampare da lui, dovessi io sbosarsare. Purtroppo non si potè fare quell’Antologia, che sarebbe stata una buona occasione.

Gianfranco Contini

Nota come narratrice, Orsola Nemi lo fu meno come poetessa, benché avesse la poesia nel sangue. Lo dimostrano il suo amore per i poeti della tradizione italiana, per i simbolisti francesi, fu il gruppo dei poeti liguri, tutti in qualche modo presenti nelle sue liriche, le frequenti traduzioni e citazioni di poeti, la frequentazione di poeti e poetesse contemporanei. Amava raccontare, a tale proposito, un episodio significativo: da fanciulla, non essendo riuscita ad avere Sonetti e Poemi di Ceccardo Roccatagliata Ceccardi – a lei particolarmente caro –, prese il volume in prestito dalla Biblioteca Civica di La Spezia e lo ricopiò interamente, sebbene raggiungesse le quattrocento pagine.

Anche se il suo vero esordio in campo letterario avvenne col romanzo Rococò, nel 1940, ella diceva spesso che fu per lei estremamente significativo il fatto che Montale fece pubblicare su “Letteratura” nel 1939: Lunaria, Primavera in mare, Venerdì Santo, Conforti [1]. Difatti, in un quaderno del 14 marzo 1983, Orsola scrive, riguardo alla sua produzione poetica:

I versi? É impossibile osservarli con distacco. Quando Bompiani nel ’42 stampò Cronaca, e prima, quando Bonsanti pubblicò su “Letteratura”, per interessamento di Montale, alcuni versi miei (nessuna donna, che io sappia, vi aveva nulla pubblicato) mi sentii collega di Dante. Anche perché ero stata battezzata allo stesso fonte, nel bel San Giovanni! Ora molti di quei versi mi lasciano indifferentissima. Altri mi sono cari ma non li potrei giudicare.

Fu dunque Bompiani a pubblicare nel 1942 la raccolta Cronaca. In seguito ne riprese alcune, ne scrisse altre, ma non le pubblicò più in un volume. Ed è pertanto a questa raccolta che dobbiamo principalmente far riferimento.

Se facciamo scorrere i titoli dei quarantacinque componimenti che la compongono individuiamo subito alcuni nuclei tematici: il tema religioso, talvolta legato alle ricorrenze liturgiche (Venerdì Santo, Vigilia di Natale, Madonna della neve…); l’alternarsi delle stagioni (Festa di marzo, Primavera alle cave, Virtù dell’inverno, Primavera in mare, Cose d’autunno, Ombre ad aprile… ); la dimensione agreste (Potatura, Giardino, Rose e viole, A un platano abbattuto), alcuni titoli che rimandano a concetti astratti, a tratti enigmatici (Grottesco, Alchimia, Miraggio, Felicità, Laggiù, Spiragli, Ai margini… ).

In realtà, analizzando le poesie si individuano numerosi temi, tutti indissolubilmente legati tra loro, tali da darci una chiara ed omogenea rappresentazione dell’universo dell’autrice. E sono i temi ai quali essa restò sempre fedele, anche nei testi successivi.

Il punto di partenza può essere la constatazione dell’infelicità insita nell’umana esistenza. Ed è un’infelicità non individuale e soggettiva, scaturita da un qualche dolore personale, ma riconducibile alla vita stessa e propria di tutte le creature. Tale constatazione non viene mai urlata, né denunciata con i toni dell’ira o del risentimento, ma espressa con dolore, a tratti con nostalgia o con rimpianto, o vanamente illuminata dal conforto che la fede può dare.

L’infelicità è centrale in Lunaria, dove il sorgere della luna sembra per poco far affiorare una speranza:

Ci si smarrisce dietro al Mai ed al Sempre,

legati al tempo, per te ritrovare

Felicità, che non dobbiamo amare.

 Analogamente in In carnevale il volto della luna che appare in cielo accende un arcobaleno, anche la notte rivolge il suo sguardo a quella dolcezza malefica, l’infelicità sembra avere una tregua:

A lei, la gioia rinnegata

salì, da questa terra chiusa,

come marea che esorbita

paurosa.

Cause di tale comune destino sono il trascorrere del tempo, l’ineluttabilità della morte, la ricerca di valori effimeri e fallaci. E qui la poesia spesso si apre al confronto tra il ritorno delle stagioni, una sorta di tempo ciclico, e la vita umana, breve e inesorabilmente destinata alla morte.

In Annunciazione leggiamo:

Mare di Primavera,

commuovevi alla fine dell’inverno,

così vicino agli orti suburbani

ancora freddi e grami.

Ancor più chiara la contrapposizione in un testo come Primavera in mare:

Ventun febbraio, Primavera in mare,

dicevano così i naviganti

[…]

Per noi dura l’Inverno, Febbraio

ai vetri,

pare irto rosario

tormentato dal vento.

Dentro, fumo d’affanni e sogni,

e lo spavento

di capire che questa è la vita:

balorda attesa, balorda fatica,

monotonia che tanta guerra chiude.

Inverno dura, durano cose

Che non possiamo amare;

e Primavera dolce…

Primavera sul mare.

E così in numerosi testi troviamo il ritorno della bella stagione, il vento primaverile, l’ingiallirsi delle foglie in autunno, o i freddi invernali; un ciclico avvicendarsi dunque delle stagioni riflesso negli elementi della natura, quasi sempre in contrapposizione con la brevità della vita umana. Indissolubilmente legato al tema del tempo è difatti quello della morte, uno dei più ricorrenti nella raccolta. Essa tuttavia appare nella maggior parte dei casi dissimulata ancora una volta nel paesaggio, nei fiori o nelle piante, veicolata dalle ombre, dal buio, dalla stanchezza del giorno o della stagione.

La poesia della Nemi resta una poesia fatta di “piccole cose”, una poesia il cui tratto essenziale è la delicatezza di immagini e suoni.

Significativo è il fatto che proprio il primo componimento, quello in qualche modo programmatico sia proprio sulla morte. Esso è l’unico a non avere titolo, ma nell’indice viene indicato come Dedica. Ciò ci fa supporre che pertanto il “tu” cui si rivolge in esso sia l’amato Henry Furst, al quale è dedicata la raccolta. Ebbene qui l’autrice immagina il momento supremo, quello in cui egli affronterà il passaggio dalla vita alla morte. Proprio quando più intenso apparirà il dolore della vita e cercherà di riafferrare tutto ciò che più ha amato, comprenderà che è la moneta del falsario, che non è in ciò che si insegue lungo la vita il vero premio, e solo allora l’anima accetterà e comprenderà il mistero della morte:

Allora

per misteriosa legge, il dono

dello stupore ti offrono le cose,

e la vita che ti addolora,

da te si stacca, non sembra più vera.

Docile al suo destino mortale,

senza domande in pace si spegne,

lungo declivi di grande abbandono,

memore appena, tale

sugli uliveti luce della sera.

 Lo stesso tono, che invita ad una consapevolezza non tragica ritroviamo in componimenti apparentemente più drammatici, come Ad un platano abbattuto, dove è la morte dell’albero a rappresentare la morte del tutto. L’ incipit colpisce, con il suono dei colpi di scure che fendono l’aria, con l’immagine del grande albero trascinato via con le funi. Sullo sfondo le ombre sui monti, la cava notte, la pianta abbandonata ed umanizzata, ma la conclusione, sebbene venata di profonda tristezza ritrova il tono lirico tipico della scrittrice:

Fosse per noi tanto pietosa Morte!

Ritroverei, alle temute porte,

non la scorie degli inutili giorni,

ma te, con la tua verde corona

frusciante alle brezze quiete,

ai voli e all’amore degli uccelli.

Tu che sapevi tutti i ricordi,

ed eri meco quando

la speranza coi teneri arboscelli

sembra rinasca,

e nella sera pallida, vasta,

l’anima e ogni cosa mortale,

si dimentica del male,

della fatica e del suo pianto.


Da quanto detto risulta evidente la centralità della natura nella poesia della Nemi. Ogni tematica, ogni stato d’animo, ogni riflessione, viene rappresentata attraverso il paesaggio, la vegetazione, piccoli animali.

Per quanto concerne lo sfondo elementi caratteristici sono monti, colli, cielo, nubi, mare. Un paesaggio pertanto ampio, talora dai contorni sfumati, riconducibile facilmente alla Liguria, ma non sempre specifico di un luogo, a tratti mitico. Elemento dinamico spesso presente è il vento, che si accompagna alle ombre della sera o della notte e si fa sostanzialmente portatore di uno stato d’animo, soprattutto del tema del mistero.

In Conforti leggiamo:

Ora ti accorgi della sera,

di quelle nubi nel vuoto celeste,

sciolte come rose di sentiero,

e senti il vento bruno, leggero,

venire a te portandoti la pace

delle campagne che immagini meste,

e ti ricordi il potere dell’anima.

 

In Bufera:

Ascolta il vento che si frange

al muro della casa,

percossa l’aria si dilata

e la empiono voci oscure.

E ancora, in Virtù dell’inverno:

Sera […]

Furono sprecate parole,

e intorno v’è troppo dolore,

e grande buio ci accompagna.

Volo di vento sulla montagna,

le acque ghiaccia, leviga le pietre.

La vegetazione è invece quella del giardino domestico, della campagna, abitati da piante semplici, consuete. Troviamo: erbe, rose, margherite, glicine, viole del pensiero, olivi… Analogamente questi spazi sono abitati da piccoli animali, soprattutto insetti. E’ la vita delle piccole cose, il ritratto di pascoliana memoria di un mondo del sottobosco in cui si riflettono i grandi temi dell’esistenza. In questo mondo in sostanza ritroviamo il male di vivere. Numerosi gli esempi, tra i più significativi:

Cimitero:

Giugno sul cimitero,

in una ruota turchina orgogliosa.

La lucertola timorosa

Guizza,traversa il sentiero.

Purpurea su fili d’erba

Si arrampica la cocciniglia,

scopre, senza meraviglia,

il mondo;mentre il maggiolino

ronza, scintilla al sole.

Farfalle sopra le aiole

Volano giubilando

Dall’uno all’altro rosaio,

come fossero in un giardino.

Incontrandosi le formiche,

sulla strada del formicaio,

scambiano da tonacelle

un segno e loro formule antiche.

Cipressi pieni di nidi,

di risse, di pigolii

in questo porto di supremi addii

Evidente, in questi come in altri versi, la linea poetica che va da Pascoli a Montale. E’ in questi esseri che la scrittrice trova in alcuni casi l’espressione del male, del dolore del mondo, in altri il conforto, come in questa poesia, dove l’osservazione della vita animale le fa comprendere che fortunatamente / è la morte diversa / da quanto si usa narrare.

A volte il male di vivere è simbolicamente rappresentato da una natura spoglia, arida, livida, cupa. Basta citare i primi versi di  Primavera alle cave:

La pietra aperta in mezzo alla montagna

Era sanguigna, e ispido il verde.

Livida pace d’ olivi

Copriva i duri declivi,

e livido era il cielo di Marzo.

Proseguendo troviamo: precipitose pareti, arsi grovigli, ombre, macigni del baratro, nudi rosai / dai brevi spini sanguigni, tutte presenze che riconducono a quello che viene definito un enigma.

E ancora in Potatura leggiamo:

Caduti gli sterpi,

è arido il cielo,

letargico quanto l’anima dopo malvagio pianto.

Sotto il riverbero basso di nubi,

gli alberi mozzi lungo il viale […].

Nel prevalere degli orpelli aviti,

giovano invece queste ruvide

forme di tronchi,

e quelle opache linee di monti.

Soltanto il caro volto delle cose,

con aridezze preziose

ancora ci conforta.

Come si può notare in questi testi a tratti l’espressione si fa più forte, il tono più aspro, sino a ricordare certi versi danteschi. È un gioco di chiaroscuri in cui compaiono spesso l’antitesi o l’ossimoro.

A questo punto non ci resta che individuare le possibili soluzioni indicate dall’autrice al disagio esistenziale. La prima, apparentemente più significativa e maggiormente presente è rappresentata dalla fede. La seconda è la soluzione più autentica, emblematicamente indicata a conclusione della raccolta, una dimensione mitico-onirica, il sogno.

Il tema della fede è piuttosto presente. Lo ritroviamo in componimenti che già nel titolo riconducono ad esso, e non solo. Citiamo ad esempio Chiesa antica, Venerdì Santo, Madonna della neve, Vigilia di Natale, Avvento, Annunciazione. I tutti la fede assume sostanzialmente una funzione consolatoria. E’ qualcosa che ha radici profonde, non viene mai messa in discussione, appare condivisa da tutti e vissuta quale unico conforto al dolore. In Chiesa antica le pietre e l’impiantito sono corrosi non tanto dal tempo, quanto dal dolore di giorni e secoli, le figure delle statue appaiono plasmate dal supplicare umano, paziente. Ed ecco la funzione consolatoria:

E qui si decompongono le scorie

Del pianto in benedetto limo,

da cui germina con alta possanza

il fiore ultimo e primo,

il sorriso sull’agonia,

l’incredibile speranza

che ha il volto bianco di Maria.

Maria ricompare, con analoghe caratteristiche, anche in Madonna della neve e Annunciazione: sempre la sua presenza infonde speranza, addolcisce i cuori, cancella gli affanni. E sempre ritorna nei testi di ispirazione religiosa il contrasto tra gli affanni, il dolore, la caducità delle cose ed una certa pace che la fede può dare. E’ significativo tuttavia che la scrittrice non nomini mai in essi la felicità e permanga un’atmosfera spesso livida, scura, appena rischiarata dalle luci delle candele, della luna, delle stelle.

La soluzione più autentica appare dunque il rifugio nell’illusione, in un mondo quasi mitico, nel sogno.

Esempio significativo è la poesia Laggiù:

Arcatala Luna

Ancora approda ad una vetta scura;

Espero accende il suo fuoco romito

In una riva di cielo che amo.

Laggiù addolcirsi d’aria e di pensieri,

come nella paura

incontrare le mani dell’amato,

laggiù fedeli cose,

fioriti spettri di giorni

attendono i ritorni del desiderio.

Ma più di ogni altra considerazione serve sottolineare il fatto che la raccolta si chiude con un testo dal titolo In sogno. In esso la scrittrice descrive appunto un sogno in cui cerca qualcuno e gli si rivolge con il “tu”, certamente lo stesso “tu” al quale si è rivolta nella prima lirica.

Ciò è significativo anche poiché evidenzia la struttura circolare della raccolta. L’ultimo testo definisce esattamente in che cosa consista quella Felicità a lungo, vanamente cercata.

Dapprima, non trovando l’amato essa si sente  sola, povera,vestita di nero. Incombe su tutto silenzio di pietra./ Metafisico etra,/ metafisico orrore!  Ma infine lo vede e nel sogno, in questo sogno finale, trova finalmentela Felicità a lungo cercata:

Eri il mio Sempre, il mio giardino,

il gaudio senza ombre o stanchezze,

ed io ero bella sul tuo amato cuore.

Felicità, donata dal sogno,

rapita dal sogno,

Felicità, oro di sole,

restan di te queste grame parole.

Francesca Rotta Gentile


NOTE

[1] “Letteratura”, III, 1, gennaio-marzo 1939, pp. 55-57.